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Tuesday, March 31, 2015

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Sunday, March 29, 2015

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ontology








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Thursday, March 19, 2015

Nimbus Notes

 
hugo ball





Nimbus Notes

ontology

Lecture on Hugo Ball's Theology of Sound as constructed in his 'Byzantinisches
Christentum' (1923), held by Frank G. Bosman in das
Philosophisch-Theologische Hochschule in Brixen (Italy) on 31-08-13.
Organisated by the European Society of Catholic Theology.

▶ ok Hugo Ball's Theology of Sounds - YouTube

▶ Hugo Ball's Theology of Sounds - YouTube

ontology

Lecture
on Hugo Ball's Theology of Sound as constructed in his 'Byzantinisches
Christentum' (1923), held by Frank G. Bosman in das
Philosophisch-Theologische Hochschule in Brixen (Italy) on 31-08-13.
Organisated by the European Society of Catholic Theology.

Hugo Ball's Theology of Sounds video



ontology

ontopoiesix | aristoplex

  




ontopoiesix | aristoplexarola Dada fui chiamato due volte da Dionigi Areopagita: D. A. – D. A.»,
annota Hugo Ball in Fuga dal tempo, il diario che documenta il
passaggio, tra il 1913 e il 1921, dal dadaismo al cristianesimo
bizantino, o meglio alla sua mistica, una conversione estetica prima
ancora che etica e comunque meno religiosa che filosofica. È all’apice
di quel transito che scrive le tre vitae sanctorum che compongono
Cristianesimo bizantino.
Ne ha letto gli originali in antichi volumi
«le cui pagine in folio crepitano, sfogliandole, come le vele di una
fregata» e lo sospingano a un’eversiva libertà dal saeculum, il tempo
del mondo, sulle tracce di tre maestri di fuga: di anacoresi,
letteralmente “ritirata” (dal greco anachoreo, “me ne vado”), per Ball
“secessione”.
Ball –
scrittore, performer, regista, fondatore del dadaismo con Tristan Tzara – amava la saggezza dell’India,
il manicheismo, che aveva divulgato nel cristianesimo le regole di
astinenza buddiste, la filosofia di Nietzsche, Bakunin, la psicoanalisi,
il pianoforte, il teatro e la poesia espressionista. Quella dal tempo
fu l’ultima delle sue fughe. C’era stata prima quella dal fronte, dopo
l’arruolamento volontario nel 1914 e l’orrore per lo spettacolo
sacrificale delle trincee, che scardinava ogni idea di teatro. Rifugiato
a Zurigo, le oppose le quinte effimere dell’antispettacolo Dada. Nei
poèmes sans mots e nella poésie phonétique di Ball al Cabaret Voltaire,
«rinuncia secca» al «linguaggio ormai corrotto dalla propaganda», già
trapelava una mistica: occorreva abbandonare la parola per «ritirarsi
(anachoreo) verso la sua alchimia più intima». Si era accorto che la sua
voce «non avendo più altra scelta aveva adottato l’antichissima cadenza
della sacra lamentazione, lo stile di quei canti liturgici che
diffondono il loro gemito per le chiese d’oriente e d’occidente».

La
lingua che Ball cercava aveva il «sommerso, boccheggiante mutismo dei
pesci»: «I suoi caratteri guizzano in quelle curve del destino che
attraversano all’improvviso la nostra coscienza come un flusso di luce». Il dadaismo del Café Voltaire e il pacifismo della Critica dell’intelligenza tedesca, il suo libro
del 1919, cospirarono nella rilettura di tre classici della mistica
bizantina. Il De coelesti hierarchia di Dionigi Areopagita, una vetta
irradiata da Platone, «il grande sole d’oriente», da Giamblico, da
Proclo (ma, ignorava Ball, soprattutto da Damascio). La Scala
Paradisi di Giovanni Climaco, che «combatte la realtà come una
pestilenza e la zavorra della vita come un’eresia». La Vita metafrastica
di Simeone Stilita, l’“orologio di dio” che dissolve il tempo, ritto
sulla meridiana della sua colonna.

«Abbiamo disimparato la lingua dei
geroglifici. È andata perduta la sua chiave», scrive Ball. «Non capiamo
più niente. Ma così siamo finiti sotto cieli che si fendono e vomitano
sanme gue e fuoco». L’immagine della guerra accomuna le descrizioni
delle sofferenze dei monaci nei testi degli antichi padri e in quello di
Ball: «Tutti hanno la morte davanti agli occhi. Vivono e soffrono cose
indicibili. Sputano sangue, gli occhi sono febbricitanti. Gli angeli
della consolazione li attendono, annientati, laceri e sudici».

Per i
figli superstiti del secolo breve, «atleti della disperazione», la
risposta ai problemi del tempo cui appartengono è la soppressione dei
bisogni, l’addio a «tutte le cure cui ci costringono società e stato,
abitudine e comodità, proprietà e famiglia». Perché, scrive Ball, «i
mali della società, paralisi e isteria» possono essere eliminati «solo
assecondando la dissoluzione della forma interiore».

Dal dadaismo al
bizantinismo c’è un passaggio obbligato e sotterraneo, che può
percorrersi anche in direzione inversa: per esempio dal bizantinismo
all’astrattismo, come predicato negli stessi anni del Novecento da
Matisse e praticato da Kandinsky, grande amico di Ball, che dalle icone
appese ai muri del suo atelier derivò il rifiuto della materialità
nell’arte. All’icona bizantina, di cui l’arte contemporanea è orfana o
figlia, Hugo Ball dedicherà gli scritti filosofici degli anni tra il
1923 e il 1927, trattando il rapporto tra immagine archetipica (Urbild) e
immagine riprodotta (Abbild): del “fenomeno originario” l’icona non è
copia ma “impronta”, una sorta di negativo della sua struttura intima,
in cui alla mancanza della terza dimensione fa riscontro la necessità
della ripetizione. Per questo l’arte bizantina è astratta e seriale come
quella novecentesca, fino a Andy Warhol o a Yves Klein.

Il medioevo
dadaista di Ball è precursore dell’evo postmoderno. Per la riscoperta
dell’estetica concettuale bizantina, del suo messaggio di
disintegrazione e sovvertimento dell’immagine e della parola stessa. Per
la rilettura della teologia mistica cristiana non come fede
trascendente e neppure come ideologia pubblica ma come declinazione
immanente di un pensiero negativo, pessimista se non nichilista, che si
fa interiormente libertario e pacifista. Per l’individuazione in
Bisanzio dell’alveo carsico di un incessante scambio sapienziale tra
oriente e occidente in cui cristianesimo e buddismo, yoga ed esicasmo,
attraverso i secoli e i millenni, attraverso le regioni oggi
insanguinate da un conflitto solo superficialmente religioso, tracciano
un’unica ininterrotta civiltà. Per l’intuizione della parentela tra
mistica antica e moderna iniziazione psicoanalitica e la ricerca delle
radici di questa nelle forme della “terapia” ascetica dell’anima, della
santa esichìa.

In questa ricerca della libertà interiore nella
secessione dalla contemporaneità brutale, dal suo culto della tecnica,
della guerra, dell’edonismo, del consumismo, non c’è differenza tra
l’asceta, l’esteta, il rivoluzionario. Sono la stessa figura,
l’evoluzione disincarnata di un resistente la cui «spada sguainata
contro la propria volontà», sospesa tra medioevo e Dada, sempre in
assoluto conflitto col presente, è l’unica forma di resistenza possibile
alla «ferita dei tempi». Tra le ultime note della Fuga dal tempo, al 3
gennaio del 1921, si legge: «Il socialista, l’esteta, il monaco. Tutti e
tre sono d’accordo sulla necessità di abbandonare la moderna cultura
borghese al suo declino. Da loro tre proverranno gli elementi di un
nuovo ideale».