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Saturday, July 11, 2020

GIACINTO PLESCIA:transplendenza



.....................dynon o fyon eraklitiano, quale essere abissale che si eventui senza fine, quale risplendenza sublime o transplendenza sublime o tramontanza: qui la transpurezza è transkatarsi e la sua transfenomenica suscita quel sentimento o quella tensione o quella intermittenza che tanta fortuna avrà nel pensiero di Burke e di Kant, tanto da eventuare il transfenomeno del sublime o il noumeno del sublime, ovvero il sublime fenomenico e il sublime noumenico. Ma nessuno si è ancora chiesto del perchè esista una musa della bellezza e non ci sia una transmusa del sublime. Forse il pensiero di Plotino ci viene in soccorso per delineare nel mito di Kalypso la disvelatezza del transmito del sublime, quale transbellezza in transestasy instabile, fluttuante, fyon o dynon o transplendenza sublime in contrastanza transdelirante assentemente presente o che si sveli solo nell'infinito o nel senza-fine o nell'abisso del senza-entità dell'etere o che aleggi sempre entousiasta , nell'eventuarsi sempre ab-scissa dell'essere-sublyme in transmitica alterezza quale bellezza-sublime o sublime-bellezza. Le interpretazioni della transestetica transestatica quell'eventuarsi dell'abissalità transgettano nel pensiero in mondità. Quel che seguirà è intriso di quella transpregnanza e salienza in transplendenza sublime.

a) transestetica estatica

Il sublime dilata il cuore in sistole e diastole e costringe l'attenzione nella stabilità e nella tensione. È stancante: è la transestetica sublime o transplendenza sublime o transluccicanza sublime o risplendezza o transrisplendezza sublime. La bellezza discioglie la transpurezza dell'anima : si percepisce qui una differenza transfenomenica o una incongruenza spaziale nella transestetica, presente nell'epigenesi longiniana del sublime, ma non ancora una differenza noumenica nella transbellezza o nel sublime.


 Qui il sentimento o l'intenzionalità sublime consiste in una vibrazione o alternazione rapida dei sentimenti o alterità o alterezza dell'esserci.
Il dinamicamente sublime è simile alla transpotenza osservata in natura irresistibile e terribile, ma se si è al sicuro, si rimane disinteressati e perciò non c'è più un ob-getto o gegenstand che incuta la paura. Dio è terribile ma l'uomo non ha paura. Anzi solo il dio del sublime ci può salvare o solo il sublime salverà il mondo. Quella è la differenza: il sublime è il coraggio della transpurezza dell'anima e consente di scoprire un'abilità di stabilità transepistemica, ma solo perchè c'è l'alterezza dell'esserci. La natura è sublime perché eleva, innalza l'immaginazione all'esposizione eccelsa, là ove la mente può essere l'unica facoltà capace di comprendere la sublimità, anche al di sopra della stessa natura, quale sublimità appartenente alla libertà transestetica dell'alterezza. Tale libertà è al di fuori del naturale: interagenza intima tra il sublime o il dinamicamente sublime è l'ontologia della libertà. C'è il sublime quale libertà che trascenda la natura. Il sublime possibile o La sublimità, la sublime transpurezza, il dinamicamente sublime è sempre in relatività o in reciprocità transkategorica o in interagenza con la libertà. E' la problematica della differenza transkategorica tra il matematico e il dinamicamente sublime, o della differenza analitica tra la transbellezza e il sublime: entrambi presuppongono l'inclinazione o il klinamen di trans-essere e sensibilità, come quella del piacevole; il trans-essere è pensato nella transpurezza della transvivenza o l'analitica della transbellezza della natura interessante la forma del transente, che esiste che c'è, che si dà quale esserci o dasein-analytik ; il sublime invece si trova di fronte un gegenstand, sempre non-ente o transente infinito o transentità abissale senza-fine, senza fondo, un ni-ente, un nulla o un essere che ci viene in-contro quale transente informale, l'infinità, o completezza transkategorica della transmonade o dell'arkè o della transingolarità infinitesima nel suo subliminare ed infinitamente irreversibile nell'apeiron, nell'essere sempre senza fine e senza un fine o un transtelos: è in interagenza la piacevolezza del trans-essere con la qualità, o la quantità kolossale e magnanima e perciò alta e nobile quale eccellenza o quale alterezza. Nell'analitica della transbellezza c'è la seducenza quale attrazione transfenomenica, senza la presenza di un'immaginazione; la transestetica transestatica sublime invece è presente immediatamente quale compresenza di immaginazione pensante o come emozione dell'immaginazione dell' esserci o del non ente, niente, nulla o sacra superentità divina, incongruente e incompatibile con le attrazioni e con la seducenza, anzi prossima al timore e all'angoscia; la mente lì è costretta non soltanto alla presenza stabile dal transente, ma è spinta anche fuori , tanto da non afferrare o percepire la completezza transkategorica dell'arkè quale transingolarità e dell'apeiron e per-ciò impossibilitata nel contenere il trans-essere o un desiderio solo positivo, ed allora si evidenzia anche il transenso, contrastante, di ammirazione o tensione o attenzione, quale desideranza anche negativa, o non desideranza o dispiacere o timore o tremore o paura ed angoscia. La differenza più importante e più interna, sempre transfenomenica o transkategorica , è quella dell'analitica del sublime o della transbellezza dell'esserci o dasein-analytik : qui il sublime si pensa quale transensibilità che si esprime nella sensibilità estetica, la quale non desidera essere ricondotta alla corrispondenza con una transidea che non si possa sacrificare nell'apparenza: l'occhio richiede la bellezza come se ci fosse insistenza dello stesso ob-getto, la transpurezza desidera un'armonia completa fra il principio e l'inclinazione, perché tutta la tensione o l'attenzione si trans-getta, giacchè si sente ancora in incompletezza, quale virtù non perfetta.
Trovare il sublime nella transbellezza è la transbellezza filosofica. Quale analisi di Aristotele della tragedia nella Poetica, in salienze o pregnanze della tragedia; come nell'esperienza di paure e compassioni conducenti ad una catarsi delle emozioni. Aristotele appare poco chiaro nello svelare l'accadenza catartica. C'è bellezza e c'è la bellezza-sublime o plotiniana: due transingolarità in continuità: la transbellezza è leggerezza in equilibrio stabile, è una qualità debolmente decorativa . Nell'alterezza c'è la più ob-scura bellezza-sublime che si dispiega in profondità e verità, o transbellezza sublime. La differenza tra le due estremità, o meglio la differenza tra due spazi topologici che si incontrano come in un nastro di Mobius, svela l'analitica della transbellezza dell'esserci: se un fiore, un tramonto, un poema, un dipinto, o un brano musicale: qualsiasi bellezza possa essere visto anche come bellezza sublime, se l'attenzione è diretta ed adeguata alla transfenomenica ermeneutica. Il differenziale nel continuo è costituito dalla consapevolezza dell'analitica transfenomenica del sublime nella bellezza o della transbellezza nel sublime.

La transfenomenica ermeneutica della transbellezza è ontologicamente connessa con la profondità e la verità, l'abisso e la svelatezza, e non è una transbellezza che si adegui nelle transcategorie della transbellezza quale sublime-bellezza. L'analitica del sublime eventua una complessità della transbellezza . L'analitica della transestetica del sublime emerge come una più complessa ermeneutica della transbellezza, quale transbellezza filosofica o trascendenza della transbellezza o sublime bellezza. Quella transinterpretanza dell'analisi della transbellezza connessa con alcuni dei commenti di Aristotele sulla tragedia possono delineare l'emergere di un nuovo transparadigma. Nell'Analitica si distingue il sublime dalla bellezza transfenomenica: è bella la bellezza modello in un ob-getto, quale principio di organizzazione di pensiero nell'ob-getto, senza che l'ob-getto stesso abbia utilità. Qualcosa è bella, contrapposta ad utile, con caratteristiche che si possano identificare con l'utilità, ma l'ob-getto in sè è inutile, è disinteressante severamente, mentre dà il piacere. Un fiore è bello per la sua organicità, la sua simmetria i suoi colori come caratteristiche utili in un transente , ma la transentità è essenzialmente inutile , e così si pensò la transbellezza senza telos.
Il sublime, in contrasto, è un principio di turbamento. È il transfenomeno intuente o la comprensione che incontrino qualche transentità che non si possa organizzare o contenere. Non si possa determinare un principio di organicità che delimiti la transentità, giacché non si possano determinare limiti all'entità quale ob-getto sublime. Non si possano determinare limiti al transente che si sveli da sè, perché quell'entità, quale gegenstand, sfidi i poteri di presenza dell'immaginazione e quel nesso tra la prote philosophia o ontologia fondamentale e la theologike episteme o metaontologia o anche alle ontologie regionali quale interagenza tra prote philosophia e theologike episteme, o tra ontologia fondamentale e metaontologia. Heidegger non attua mai quella che avrebbe potuto essere la metaontologia sublime, ma lì c'è l'epigenesi o l' Ereignis sublime o dell’essere-sublime-creato. Già nel concetto aristotelico di physis è in essere il sublime dinamico quale dynon o evento che si inabissa o si sottrae senza fine e si sublima. Che cosa sono i physei onta? Sono quegli enti che hanno in sé il principio del movimento o la dynamis sublime o la intenzionalità ontologica sublime heideggeriana della physis, dei physei onta che si sublimano dinamicamente quale eterna presenza dela transmonade del principio del movimento, tant'è che l’essere-sublime-creato si trangetti in una ontologia regionale, o nella transestetica estatica dell’evento sublime: nullo fondamento di una nullità è incompatibile con la bellezza, incompatibile come il più grande quasi infinito: apparirà il sublime quale grande terrore e stupore; eventi e varietà d'immaginazione possibili idee con più alterezza di quella bellezza fatale, che aspetto maestoso!
Lei trasporta una dea, e lei guarda una regina.
Ecco una parola non disse del particolare della sua bellezza; nulla o alcuna idea precisa della sua persona; nessuno ha detto una sola parola in tutta l'immaginazione o immagina brillanti colori, o immagina la fragranza di una rosa immagina l' origine della sublymanza,
nel senso della sublyme-bellezza: il costruire un determinato tempio di Zeus, oppure la svelatezza ab-scissa, ovvero il portare-in-posizione una determinata statua di Apollo, oppure il portare in scena una tragedia: non è soltanto l’alterezza di una sublymanza: disposizione in quanto alterezza è mitopoiesis . Consacrare o mitopoiesis significa “rendere sacro”, nel senso che nell’offerenza del sublyme il sacro viene svelato in quanto ciò che è sacro è il Dio e viene cercato extraendolo dentro la disvelatezza della sua presenza. Alla mitopoiesis: omaggio alla dignità e allo splendore del Dio. Dignità e splendore vengono svelati nella sublyme-bellezza, non accanto o dietro alle quali si sia il Dio, bensì esso si dà alla presenza nella dignità e nello splendore.
Ogni disposizione nel senso dell’alterezza mitopoietica è anche sempre ab-scissione eventuata in quanto modalità di collocazione dell’edificio e della statua, in quanto dire e nominare all’interno di un linguaggio. All’inverso una collocazione e una sistemazione non sono già una disposizione nel senso dell’alterezza che pone-in-costruzione; infatti, si presuppone che il sublyme da erigere, da disporre, possieda già in sé il tratto essenziale della disposizione, sia cioè se stesso, in ciò che sia più la risonanza.
Ma in che modo si coglie la risonanza autentica,
che dispieghi l'ab-scindere e l'eventuarsi dell’essere-sublyme?..............................................
metaontologia
meta-ontologica è la transontologia dell'ontologia o della transepistemica o della transestetica quali capaci di comprendere gli eventi sublimi dell'essere e non solo i fenomeni o i noumeni: o è una metaontologia o transontologica delle singole ontologie o una teoria ontologica in un’altra. Il
metaontologico consiste nella costruzione e decostruzione o transdecostruzione della transontologia delle ontologie come se si utilizzasse il
rasoio di Ockham: si tratta di modi di descrizione della transontologia sublime quali “distanze sublimi” o “buchi sublimi” o “eventi sublimi”, strutture transontologiche sublimi inerenti al sublime.
Ma c’è anche una transontologia sublime delle transmonadi e dei transarithmoi: teoria lanciata da Platone e ripresa da Aristotele, è stata
sviluppata in una ontologia sublime della matematica sublime in Platone e Aristotele: i numeri
sono ontologicamente duplex in quanto servono a unire ciò che è distinto e a distinguere ciò che è
unito. La transmonade è ciò che unifica una molteplicità, creando la transingolarità dal
molteplice, ed è anche ciò che individua-isola la singolarità nel molteplice. Si è immersi nella ormai mitica
distinzione tra uno-tutto e uno-singolorarità che differenziò la sublime infinità nella monade, o l'apeiron nell'archè.
Ora è un tema ontologicamente cruciale:
creando unità dalla molteplicità nei due sensi, c'è un solo nome per una
complessità eterogenea, c'è qui la connessione
tra transontologia sublime e ontologie: essere,
numero e transestetica sublime.
C'è già nella classicità che lo on debba diventare necessariamente un
en, ancora ermeneuticamente da svelare! La problematica della numeralità
dell’essere è per l’ontologia heideggeriana fondamentale, in Heidegger la
numeralità è la condizione della dicibilità, c'è un nesso tra sublime e matematica.
La riflessione ontologica di Heidegger è l'unica transontologia sublime metaontologica, Heidegger pensò esclusivamente della
metaontologia sublime: ovvero la transontologia sublime dell’ontologia.
Si sa che la problematica
metaontologica di Heidegger introduce per prima la sublime “metaontologia”, quale sublime “metaontologia” per precisare e distinguere l' ontologia fondamentale dalla metafisica, già nel Sein und Zeit Heidgger distingue le ontologie
regionali, i fenomena ontologici di ciascuna scienza, e l’ontologia fondamentale,
o la transontologia del transenso transestetico dell’essere, quale priorità o premessa o fondamento delle ontologie regionali fenomeniche anche estetiche. Heidegger transobliò le
problematiche di fondazione delle scienze o delle estetiche nelle transestetiche e tranepistemiche ontologiche. Heidegger chiarisce che ci sia all’interno della metafisica
una distinta o una differenza ontologica sia transestetica sia transepistemica dell’ontologia fondamentale connessa transontologicamente alle ontologie scientifiche fenomeniche o noumeniche regionali: è il transoblio della “metaontologia”. La metaontologia di Heidegger è precisamente quella parte
della transontologia sublime che crea le relazioni con le ontologie regionali fenomeniche della scienza e dell'estetica, a rigore la metaontologia e non l’ontologia è la sublime transontologia che sveli le problematiche ontologiche della scienza, le problematiche dell'estetica o della transestetica o della transepistemica e che cosa è o sia la metaontologia o il nesso tra ontologia e metaontologia quale transontologia sublime dell’essere o la transestetica dell' essere
transontologiche. Ma la comprensione ontologica è possible solo con la
problematica transontologica sublime, come metaontologia. Con metaontologia Heidegger indica il
“capovolgimento” o metabolé sublime dell’ontologia dell’essere sublime, solo così la metaontologia si
svela quale transontologia sublime dell'ontologia fondamentale, quale insieme di fondazione ed elaborazione
dell’ontologia della sublime transtemporalità Heideggeriana meta-ontologica o transcendenza metaontologica sublime. Heidegger transoblia dalla metafisica classica la questione metaontologica e le transepistemiche o transestetiche quali transontologie sublimi metaontologiche dell’essere: la metaontologia svelò
Heidegger non è una semplice scienza ontica induttiva, una semplice sintesi kategorica kantiana che racchiuda
i risultati delle singole scienze, quello che qui si divide apparentemente tra
diverse ‘discipline’ e etichette è una sola epistemica ontologica sublime, così come la differenza
ontologica è il fenomeno originario dell’esistenza
metaontologica dell’essere, quale nesso tra ontologia e matematica sublime o
l’essere una singolarità transublime. Heidegger transoblia la sublime metaontologia con il pensiero di “oltrepassare la
metafisica”, o l’ontologia della presenza fenomenica e noumenica quale sublime transestetica e transepistemica meta-ontologica o sublime transontologica transtemporale o transpaziale Heideggeriana, quale transdecostruzione della metafisica, o dell’“oltrepassamento
della metafisica”. Heidegger transoblia la
connessione tra ontologia e scienze specifiche, ontologia fondamentale e transestetica e transepistemica, ma la
“metaontologia” è ancora nell'indeterminatezza ermeneuticare forse perché la sublime
metaontologica è la bellezza ob-scura del sublime heideggeriano. Heidegger transoblia l'ontologia fondamentale con la differenza transontologica sublime tra ontologia e metafisica, o transcronia e transtopia o ontocronia e ontopia quali transontologia sublime dell’essere in transenso meta-ontologico. Heidegger distingue sempre l’ontologia dalla meta-ontologia, l’ontologia esistente e presente, sull’essere in quanto essere nella
sua trascendenza ontologica o dell’essere in transvisione dell’essere stesso o nella transontologia squisitamente matematica sublime dell’essere che si dà nell'esserci o nel discreto dei fenomena o noumena, quale Essere matematica sublime o transpazialità dell’apertura dell’essere transLichtung sublime, quale transradura della transpaziotemporalità sublime
......................

La sublymanza è in sé una ab-scissa nella quale un mondo viene svelato a forza o in dinamica estatica e, in quanto svelato, gettato in ab-scissa. Ma che cos’è un mondo? Ciò si lascia dire qui esclusivamente nell’allusione: il mondo non è l’insieme delle cose-aderenze sussistenti in quanto risultato di un’enumerazione, eseguita in dettaglio o anche solo pensata, delle medesime. Tuttavia, se non è la somma di ciò che è sussistente, tanto meno il mondo è l’ambito solamente immaginato e mentalmente prefigurato per il sussistente.
Il mondo mondifica e svela il nostro esserci in quanto
è una scorta all’interno della quale permangono disvelati, l’indugio e la fretta, la lontananza e la prossimità, l’ampiezza e l’angustia di ogni essente. Quella scorta non viene mai incontro come oggetto, ma, indiziando, trattiene estatizzati il fare e lasciare entro una risonanza, dai quali la grazia che chiama con un cenno e la sciagura che abbatte con un colpo, proprie degli Dèi, hanno il loro avvento o il restare-assente è una modalità in cui il mondo mondifica. Quell'indiziante può soccombere al disordine ed essere così un non-mondo: sia mondo o non-mondo, in
ogni inoggettualità, più essente di qualsiasi delle cose sussistenti e sussunte, nelle quali, in modo conforme alla quotidianità, crediamo di essere di casa. Il mondo, però, è sempre l'indicibile;
mentre sappiamo ciò, non sappiamo cosa sappiamo in-oggetto, nel senso di in-contrastante o contrastanza.
Ora, il mondo è ciò che il sublyme es-pone, esso cioè
e-rompe e conduce la svelatezza a restare in stabilità, alla dimora mondificante. Extra-ponendo il sublyme essenziale della svelatezza-di-mondo disvela un vuoto
essere-capace e forse provoca persino una qualche “impressione”.
Mentre il sublyme in risonanza, libera e custodisce e cura un mondo, è in ekstasy quel sovrano rifiuto che allontana il sussistente: l'indicibile che si addensa attorno è
quell’isolamento nel quale il sublyme si disvela: in virtù della solitudine, in ekstasy riesce di ergersi-fuori nella svelatezza, e di pro-curarsi la sua dimensione sublyme.
Mentre il sublyme conduce il suo mondo alla risonanza,
si procura per la prima volta il compito al servizio del quale sta, crea se stesso, lo spazio che domina e
determina se stesso, il luogo nel quale giunge in estasy nel sito-alterezza. L'ab-scissa come alterezza estatika consacrante dà fondo nella disposizione come disvelata libertà di un mondo. Quella può sottrarsi
nell’inessenziale sublime sottrazione-di-mondo
e della disgregazione-di-mondo certamente sussistente, ma
non c’è più, è in fuga. Questo essere-via non è però un nulla, bensì la fuga stessa permane nel sublyme sussistente,
e allora tale fuga si trova ancora soltanto con l’ab-scissa assentemente presente, all’essere-sublyme appartiene la risonanza dinamica infinita dell'apeiron nell'arkè, giacché l’essere-sublyme non può essere afferrato concettualmente a partire dall’essere-genesi, bensì, al contrario, l’essere-genesi a partire dall’essere-sublyme. Per contrassegnare il tratto essenziale nell’essere-sublyme in risonanza è deposta quale pietra, legno, metallo, colore, suono e lingua. Tutto ciò è l'ilemorfico, condotto entro una morfogenesi. Successivamente, tale scomposizione del sublyme lascia maturare ancora ulteriori distinzioni secondo argomento, contenuto e configurazione. L’utilizzo delle determinazioni di ilemorfia in riferimento al sublyme è possibile sempre e in qualsiasi momento, di esso si occupano tutti con facilità e per questo, da secoli, è divenuto corrente: discendono dall’interpretazione del tutto univoca dell’essente che Platone e Aristotele fecero valere alla fine della filosofia greca. Secondo di essa, tutto l’essente possiede ogni volta un suo proprio aspetto, che si mostra nella sua morfologia. Un essente sta all’interno di tale morfologia in quanto aderente al gegenstand e può essere pro-gettato. L’essente in quanto essente è sempre il sussistente fondato. Quell’interpretazione dell’essere dell’essente non è attinta dalla sperimentazione del sublyme, però la decostruzione è applicabile al sublyme sempre e in ogni momento, in virtù dell’essere quale essere-sublyme.
Se si delinei l’essere-sublyme quale alterezza, allora con ciò non può intendersi che sia costituito da una ilemorfia, o non solo e non tanto giacchè il sublyme è risonanza dell'a-ilemorfico o immateriale o transcendenza della purezza dell'ente e del non-ente, quale niente o nulla. Ma che cosa è l'ab-scissa della risonanza-sublyme ? Così come il sublyme si dà nel mondo, si eventua nella sua curvatura ellittica o iperbolica o metabolica o nella varietà chiasmale moebiusiana in relatività monadale delle singalarità virtuali, altrettanto si risprofonda nella pesantezza
della pietra, nella durezza e nella lucentezza del metallo, nella compattezza e nella duttilità del legno, nello sfavillio e nella cupezza del colore, nella risonanza del suono e nella forza virtuosa della parola. Tutto ciò non viene in luce per la prima volta nel sublyme, siano gravità, rilucenza, sfavillio, risonanza? O non è invece il gravare del masso e la lucentezza dei metalli, l'estasy in alterezza e la duttilità dell’albero, la luce del giorno e il buio della notte, la fluttuanza delle onde e il bisbigliare tra i rami? Come potremmo nominare o pensare o intuire, quale cognizione della adeguatezza, tutto ciò? La singolarità virtuosa di quest’insuperabile completezza lo chiamiamo sublyme e con ciò non intendiamo il globo planetario, bensì la completezza, la varietà virtuosa di mare e monti, di tempeste ed aria, di giorno e notte, gli alberi e l’erba, l’aquila e il destriero. Quel sublyme che cos’è? Ciò che dispieghi risonanza e completezza e tuttavia sia reversibile nel chiasma moebiusiano topologico, quale eterno ritorno nell'essere in vista dell'essere sublyme all'indietro e trattenente e custodente quale cura autentica ciò che è dispiegato. La pietra grava, mostra pesantezza e proprio così si ritrae in se stessa; il colore si accende e resta tuttavia chiuso; il suono risuona e tuttavia non emerge nella svelatezza in completezza. Ciò che emerge nel disvelato, invece, è esattamente lo schiudersi ed è l’essenza del sublyme. Tutte le cose rifluiscono nella relativa singolarità virtuale: nell'ontogenesi delle monadi virtuali che si schiudano c'è il medesimo incompreso o Non-compreso quale sublyme disvelatezza: qui la sua estasy, là la dà come ciò che nella svelatezza si schiuda. La sublymanza non è costituita dall'alterezza nel senso di una ilemorfia, bensì è l'ontogenesi dell' estaticità instabile, eventua il suo schiudersi come l'a-ilemorfia o la ilemorfica ob-scura o l'invisibile infinitesima pre-ilemorfica . Mentre in tal guisa la sublymità sveli in sé l'alterezza, getta se stessa nell'estasy come nel suo schiudentesi fondamento; un fondamento che, quale schiudentesi sempre e in modo conforme o aderente all’essenza, è un fondo abissale. Entrambi i tratti essenziali nell’essere-sublyme, quali alterezza e apertura e risonanza di mondo e l'alterezza, quale custodia che si schiuda casualmente congiunti nel sublyme e in una referenza conforme e aderente o inerente kategoricamente
all’essenza: entrambi sono quello che sono soltanto
mentre prendono fondo nell’autentico tratto fondamentale dell’essere-sublyme, la sublyme-bellezza, custodisce e cura si rivolge all'alterezza e non teme alcunché
di chiuso, di ascoso anzi svela l'esistenza dell'a-ilemorfico o a-ente, non ente, niente, nulla. Ma nel suo schiudersi, lascia kriptare vuole essere e riprendersi tutto in sé: non può fare a meno del mondo ,
se deve risplendere nella risonanza dello schiudersi e
del trattenersi: si è nella contesa in contrastanza eristika: quella contesa è l’intimità del loro controverso coappartenersi: il sublyme è al contempo l'eristika, poiché il sublyme nel
fondamento della sua determinazione è contenzione in contrastanza, è per quello che accende e custodisce la contesa o l'eristika sublyme nella contrastanza. Poiché il tratto fondamentale dell’essere-sublyme è la contenzione in contrastanza: perché la sublymanza, nel
fondamento del proprio essere, dev’essere siffatta contenzione in contrastanza eristika? In che cosa prende fondo l’essere-sublyme?
Questa è la domanda sull’origine del sublyme: in che modo il sublyme, in quanto contenzione in contrastanza eristyka, è in primo luogo completamente presso Di sè e in secondo luogo è autenticamente in ekstasy sublyme. Come accada la contenzione di quella contesa? L’oscura asprezza
e l’attrattiva pesantezza , la sua irrisolta impellenza e il suo
risplendere: la dissipantesi durezza del suo schiudersi. Ed è quella di avere limite nel taglio di contorno,
nel taglio verticale e nel taglio orizzontale. Mentre schiudentesi deve venire l'autoevento nell’aperto, questo stesso ontoevento deve farsi ritaglio, limite che tratteggi . Qui, nel tratto fondamentale dell’essere-sublyme quale contenzione in contrastanza eristika, risieda il fondamento della
necessità e relatività anamorfica o morfologica. Senza svelare ora l’origine della morfologia: che cosa viene infatti conquistato, contendendo, in quella contenzione della contesa in eristika contrastanza?
In tanto il sublyme è contenzione in contrastanza, in quanto estatizza, aprendosi in un mondo. Ma quella estatizzazione
che spinge dentro, sospinge innanzi il sublyme e gli dà la risonanza in una radura. È l'ontogenesi entro cui l'alterezza è schiusa in modo conforme o aderente o inerente al mondo e il mondo è svelato in modo con-forme-aderente-inerente.
La sublymanza fonda l'ontogenesi mentre svela: è la svelatezza della contrastanza in cui le cose e l'esserci giungono a stabilità, onde sostenerlo: la sublyme-bellezza in quanto tempio, trattiene la figura del
Dio, al contempo, attraverso l’aperto porticato, lascia stare fuori nella radura che solo così è fondata come sacra. Ergendosi in un mondo il tempio si apre . Attraverso il sublyme, per la prima volta l'alterezza si fa con-forme o inerenza o aderenza al mondo . Allo stesso tempo, nel sublyme parole accadono virtuose nel nominare e il dire attraverso i quali l’essere degli enti viene alla parola per la prima volta e, insieme con il dicibile, viene al mondo l’indicibile: si svela l'autopoiesis, vengono coniati in anticipo i grandi concetti dell’essente . Nella sublyme-bellezza del pro-gettare e della poiesis e della morfologia in senso plastico-figurativo viene conquistato, contendendo, la contrastanza eristika, l'ontogenesi e fondatezza, in cui si fondi l ' abitare storico nell’essente, per aderire l'inerenza kategorica con la contrastanza dell’essere.
L’essenza dell’essere-sublyme risiede nella contenzione della contesa, la quale conquisti in sé, contendendo in contrastanza eristika, la svelata intimità del mondo.
Con quella determinatezza essenziale dell’essere-sublyme
viene in stabilità l'alterezza della contrastanza che renda possibile la virtosità del sublyme. Quella sarebbe presenza di qualcosa di aderente o adeguatezza consapevole, o consapevolezza dell'adeguatezza quale intuità apprensiva dell'essere dell'ente o sapere per sè . Di certo si è lontani dalla doxa e dall'epistemica per cui il sublyme sia l’imitazione di qualcosa di sussistente o semplice adeguatezza, o aderenza inerente, o sapere per sè dell'essere delle entità. Ma con ciò la concezione
del sublyme come presenza non è in alcun modo superata, bensì soltanto occultata; infatti, sia che la sublymanza venga nella vivenza come “farsi sensibile dell’invisibile”, sia, al contrario, come farsi simbolo del visibile in un’immagine-sensibile, ogni volta, in simili determinatezze,
si insinua la doxa pregiudiziale, secondo cui la presenza fondamentale del sublyme sarebbe la presenza intuibile, apprensivamente, del sapere per sè in adeguatezza con le entità fenomeniche o le intenzionalità dei fenomeni dinamici della purezza. Secondo tali paradigmi senza dubbio autorevolissimi il sublime della bellezza o sublime-bellezza significhi sempre “autenticamente”. Allegoria e simbolo si offriranno quali presenze della bellezza-sublyme, nelle più diverse declinanze, e venga determinata una più elevata formazione plastico-figurativa. All’interno del sensibile quale “elemento dell’arte” vengono alla presenza il non-sensibile e il sovrasensibile. Se l'ilemorfico vale come il sensibile, allora avviene ciò che cade sotto i sensi, che è tale da divenire accessibile attraverso i sensi ma sulla modalità della sua appartenenza all’essere-sublyme non viene detto proprio nulla; infatti il gravare di una pietra, l’opacità di un colore, timbro e fluidità di una costruzione linguistica certamente non vengono sperimentati senza i sensi, giammai attraverso di essi soltanto. Nella sua disvelatezza e completezza, l'alterezza è tanto sensibile quanto non-sensibile o insensibile, o a-sensibile, o anestetica, quale presenza dell'immateriale o a-ilemorfica, o an-ilemorfica o an-ente o non-ente o niente o nulla.
L’introduzione del “sensibile” coglie il poco del qualcosa di essenziale dell’essere-sublyme, giacchè lì la consapevolezza dell'adeguatezza, o intuire, entra in crisi, vacilla, è in vertigo per la presenza della profondità infinita della dynamis virtuosa, quale chiasma dell'anilemorfia, o anentità o non entità o abgrund o abisso o nullità o senza la fine, apeiron nell'arkè. Fu così che la distinzione tra sensibile e sovra-sensibile o anestesia o anilemorfia o anentità divenne il paradigma per i molteplici tentativi di interpretazione allegorica e simbolica del sublyme in generale. Già la distinzione di ilemorfica
e morfologica diventa decisiva per ogni successiva posizione occidentale nei confronti dell’essente, ossia in Platone, l'ilimorfica, intesa come il sensibile, è stata ritenuta come ciò che è inferiore di fronte all’idea, intesa come ciò che è superiore e non-sensibile, o insensibile o sovrasensibile o anestetica o anilemorfica, nel pensiero cristiano, il sensibile sublyme si prende cura così dell’aderenza o inerenza del sensibile: non presenta nulla, non dà niente, si eventua nella nullità abissale. In alterità o in eterità o in essere alterità o alterezza la contrastanza della contesa tra il sublyme conquista contendendo la svelatezza, ossia la radura alla cui luce l’essente in quanto tale venga incontro si fa incontro trasformato. La sublymanza si presenta nel nulla o nel niente o nell'anentità o nell'anilemorfia perché, al fondo, non c'è mai un già stante ed oggettuale o gegenstand, gettato, naturalmente, che sia sublyme: non presenta mai, o lasci intuire la consapevolezza dell'aderenza o dell'adeguatezza o il sapere per sè bensì disveli o dispieghi o disponga fuori il mondo: è l'estasy, è l'estatica alterezza intuita solo quale intenzionalità fenomenica; entrambe quelle cose perché è contenzione di quella contesa. In forza della virtuosità il sublyme, è semplicemente e soltanto se stesso e niente di più.
Ma allora in che modo è autentico sublyme? Che specie di realtà possiede?
Ad onta di alcuni mutamenti, predomina ancora, fino ad oggi,
quell’interpretazione della realtà del sublyme alla quale Platone, ancora una volta, ha dato l’avvio. In tale contesto, divenne decisiva quell'apriorità preliminare del sublyme. Dà ciò che si è disvelato intenzionalmente e spontaneamente dal sussistere naturale, ciò che è autopoiesis dell’esserci è la dinamica virtuosa che si dà nel fenomeno ontico o ontologico, a maggior ragione se riproduca cose della natura; infatti, quelle sono già copie di quei modelli che Platone chiama “idee”. Ciò è adeguatezza all'essere delle entità, e così anche il sublime, diviene riproducibilità di una copia di un modello o di un paradigma, anzi la sua autentica verità si dà solo quale adeguatezza ed aderenza alla paradigmatica purezza della trascendenza fenomenica, poiché le idee rappresentano l’essente autentico, ciò che le cose sono in verità, e per ciò il sublime è solamente un’eco, una risonanza paradigmatica in fondo autenticamente irreale. Platone tenta di rendere reversibile la realtà del sublyme, di contro alla costituzione sensibile del sublyme, si mette in campo la circostanza per cui essa presenti un contenuto non-sensibile. Grazie alla presenza ideale il sublyme risulta volentieri più spirituale delle cose tangibili di tutti i giorni, stacca l’ombra e tutt’intorno le aleggia “un afflato spirituale”: il sublyme si sottrae alla realtà propria di ciò che è sussistente: è apparenza; il blocco di marmo modellato di una statua ci dà ad intendere che
sia un corpo vivente, laddove, al contrario, esso è in verità soltanto una gelida pietra. La sublymanza è un’apparenza perché non è essa stessa quello che presenta, e tuttavia un’apparenza legittima, giacché nella presentazione essa porta pur sempre alla luce l'insensibilmente spirituale.
Interpretazioni del sublyme. Ora il sublime non è ancora così reale come le cose sussistenti, ora non è più così reale. Ogni volta, l’essere il sublyme
interpreta nell’uno o nell’altro modo sempre l'irreale. E nondimeno è vero il contrario. Il tempio che si erge su un promontorio o in una valle in vertigo, la statua che se ne sta lì nella regione sacra, queste opere sono in mezzo a molto altro: terra e mare, sorgenti e alberi, aquile e serpenti non solo non sono mai e in ogni caso semplicemente
sussistenti, ma presidiano il centro nel diradato margine
dell’apparire: sono più reali di ciascuna cosa, poiché
ciascuno di essi può annunciarsi per la prima volta come essente soltanto nell’aperto, contendendo, in forza virtuosa del sublyme. L'ontogenesi di Hölderlin nella sua poiesis è più reale più di tutti i teatri, i films e le poesiole, più
reale degli edifici in cui sono sistemate le librerie e le biblioteche, in cui compaiono, tangibili, i volumi delle sue opere complete. Più reale di tutto ciò è infatti l'autopoiesis, dacché è gettata l'ontogenesi inesplorata del mondo, e trattenute in seno nelle insenature mitiche di Kalypso grandi e sublimi decisioni: è davvero l’essenza più propria dell’essere-sublyme, incommisurabile a ciò che è di volta in volta sussistente e a ciò che solo nella presuntiva è autenticamente reale, è l’essente e l’inessente, è l'essere dell'ente e il nonente, la nonentità, il niente, il nulla: non esistono sublimità delle entità, ma soltanto ekstasy tale da sollevare il proprio tempo all’altezza di sé e da trasformarlo. Più reale di tutto l’essente consueto è il sublyme in ontogenesi dell’esserci dell’esser-ci.
Quella solitudine di ogni sublyme è il segno che, nella
contenzione della contesa, si getti in alterezza nel suo mondo. Il suo starsene lì è la contenuta discrezione del ritroso restarsene-in-sé. Il che però non significa che il sublyme si eccepisca dalla realtà; ciò è impossibile, giacché è già sospinto innanzi entro tale realtà come il suo sovvertimento e la sua confutazione. Se le manca la forza, la potenza, la dynamis allora non è sublyme: l’origine del sublyme.
La contesa quale eristica come tratto fondamentale nell’essere-sublyme ci domanda: perché la contenzione erystika è l’essenza dell’essere-sublyme? Quella domanda sia ora presa in cura.
La risposta suona: l’essere-sublyme possiede
il tratto fondamentale della contenzione? Dove e in che modo il sublyme è?
Esiste il sublyme di per sé, in qualche tempo e da qualche parte? Nondimeno è necessario chiarire che cosa mai il sublyme sia. La parola -sublime- resta sempre e soltanto
un vuoto , è semplicemente, soltanto e volta
per volta il sublyme? che cosa è il sublyme? non più nel vuoto. Mentre domandiamo: ha fondamento l’essere-sublyme? che cosa è sublyme, al principio e alla fine? Contrastanza, il centro dell’aperto nella cui radura l’essente si mostra: è come la schiudentesi entra nella svelatezza.
Il mondo si fa inascoso e si schiude, ma nella disvelanza. E mentre quest’intimità della svelatezza contenzioso tra il nascondentesi e il disascondentesi accade, ciò che fin lì valeva come il reale si rende finalmente svelato come l’inessente. Emerge alla luce del giorno, nella svelatezza, coprimento e distorsione e contraffazione dell’essente. Nella contenzione accade la svelatezza della disvelatezza del contenzioso tra
inascoso ed ascoso, il venir fuori di coprimento e accadere in sé è l’accadere di verità. L’essenza della verità, non consiste nella concordanza o aderenza inerente di una proposizione con un fatto, bensì verità è questo accadere fondamentale della svelatezza in risonanza della disvelatezza dell’essente: in verità appartiene l’ascoso e il nascondersi, il mistero, così come il coprimento e la distorsione: la non-verità.
Nel sublyme è in ekstasy l’accadere della verità, il che significa che, nel sublyme, la verità è in ekstasy. La sublymanza della verità, questa è l’essenza del sublyme. Verità non vuol dire qui una qualsiasi verità, un singolo che di vero, qualcosa come un pensiero e una proposizione, un’idea o un valore,che all’incirca vengano “presentati” o inerenti nell'aderenza ilemorfica , bensì vuol dire l’essenza del vero, la svelatezza: prima indicazione dell’essenza del sublyme a partire dall’essere-sublyme. Nel sublyme, la verità accade come divenire-disvelanza dell’essente: in che modo il sublyme sia l’origine del sublyme.
La sublymanza è la verità in ekstasy da
una parte sussiste il sublime e dall’altra la verità. E questa viene trapiantata in quella per mezzo del sublyme. Non è in alcun modo così: infatti il sublyme non sussiste prima della verità, né questa prima del sublyme, bensì:
mentre si dà il sublyme, la verità accade si dà e si eventua nella disvelanza: perché, affinché la verità accada, essa deve venire in ekstasy sublyme?
Se la verità viene in ekstasy per la prima volta con il sublyme e nel sublyme, e non è dapprima sussistente da qualche parte, allora deve divenire. Donde viene l’originalità e la singolarità della disvelatezza dell’essente? Forse, dal nulla? In effetti è proprio così, se con il non-essente si intende quel sussistente che, in forza del sublyme, viene per così dire sovvertito e confutato come l’essente.
La verità non viene mai desunta da questo qualcosa di già sussistente: la svelatezza dell’essente accade mentre viene progettata, in contrastanza eristika.
Tutto il sublyme, nell’essenza, è ontopoiesis, quale disvelatezza della completezza: è altro dal consueto. In forza del progetto autopoietico, il consueto e quel che è durato fin qui si fanno inessenti. L'autopoiesis non è escogitare qualcosa a piacimento, non è un librarsi nell’irreale. Ciò che l'autopoietica in quanto progetto, tenendo separato, sveli e progetti in anticipo, disveli, lascia fare per la prima volta all’essente il suo ingresso e lo esporti ad illuminazione.
La verità in quanto disvelatezza accade nel progetto, nell'autopoiesis. In quanto estasy sublyme della verità, il sublyme è, in modo conforme inerente o aderente all’essenza: non è puro arbitrio ricondurre l'architettonica, la plastico-figurativa e la musicale all'autopoietica, alla poesia?
Sarebbe così se le volessimo interpretare a partire dalla parola e come specie di questa: la parola, la “poesia”, è di per sé tuttavia soltanto una modalità del progettare, dell'ontopoiesis. La determinazione essenziale del sublime in quanto autopoiesis: il sublyme è l'ontopoiesis, la determinatezza del sublyme come espressione possiede una sua correttezza. L’opinione per cui il sublyme sarebbe
espressione è inoppugnabile . Certamente,
l’Acropoli è espressione . Altrettanto certamente, il sublyme è una particolare espressione. Ma il sublyme non è certo sublyme perché è espressione, bensì è espressione perché è sublyme, non soltanto la caratterizzi in termini di
espressione e non contribuisca in nulla alla determinatezza dell’essere-sublyme, ma inibisce ogni domanda genuina su questo essere. La caratterizzazione del sublyme ....................

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