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Monday, September 21, 2020

PENSIERO-PENSA-L’IMPENSATO LEOPARDI NIETZSCHE

 


PENSIERO-PENSA-L’IMPENSATO  

e s’inabissa, l’io, che non è più io, viene innalzato in un cielo dove può perdersi e ritrovarsi «sott’altra luce che l’usata».

Ma c’è di più.  

C’è che Leopardi («vero pensatore», lo definì Nietzsche) porta a tema il nulla in quanto nulla. 

Lo fa sia direttamente, come quando nello Zibaldone afferma che «il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla», sia indi-
rettamente, soprattutto attraverso la metafora del “silenzio”, mai così potente
come nel Cantico del gallo silvestre o ne La sera del dì di festa.  



Che Leopardi indichi nel nulla il principio piuttosto che la fine è decisivo.
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Certo, il nulla è anche la fine. È «abisso orrido, immenso» in cui tutto precipita
e si perde. Ma questo esito ultimo e conclusivo rimanda al principio, è a sua
volta principio. Dialettica svelata dal silenzio: che abbraccia la vita quando la
vita è ormai spenta, ma in tal modo si pone di nuovo all’inizio, dove risuona
l’eco di ciò che è stato e si conserva l’insondabile mistero dell’essere. «Or dov’è
il suono / di que’ popoli antichi? / Or dov’è il grido / de’ nostri avi famosi, e
il grande impero / di quella Roma, e l’armi, e il fragorìo / … Tutto è pace e
silenzio.» Quel silenzio che annichilisce suono grido fragorìo al tempo stesso
li fa risuonare e li rende udibili per la prima volta e per sempre, tant’è che solo
allora ci è dato di coglierli quali mai avevamo percepito e ora finalmente affer-
riamo nel loro carattere più proprio, evanescenti, destinati a scomparire, in una
dimensione ontologica che sa il tramontare di ogni cosa e sa l’eterno.
La poesia dà voce a tutto ciò che, sprofondato nel nulla, il nulla restituisce.
Perciò il nulla è la potenza della poesia e, come dice Leopardi, non esiste «se
non nell’immaginazione o nel linguaggio», ma «le opere di genio … quando
anche rappresentino al vivo la nullità delle cose … servono sempre di consola-
zione». Analogamente Leopardi evocando il «silenzio nudo» e la «quiete altis-
sima» non farà che trovare in essi la ragione dell’«arcano mirabile e spaventoso
dell’esistenza universale», che infatti non può essere né spiegato né compreso
e di conseguenza resta consegnato al mistero dalla sua stessa ammutolente e
indecifrabile enigmaticità.
Svolgendo ragionamenti analoghi Folin può accostare Leopardi a Emo. Benché
l’impressionante lascito filosofico di quell’autentico «filosofo solitario» che era
Emo non sia ancora stato studiato in modo sistematico ed esauriente, e quindi
non sia al momento possibile dire fino a che punto Leopardi ne rappresenti
una fonte esplicita, certo è che si tratta di pagine da cui viene un aiuto sorpren-
dente all’interpretazione del pensiero leopardiano, così come sembra difficile
sottrarsi all’impressione che proprio il pensiero leopardiano sia alla loro radice:
soprattutto in rapporto alla questione del nulla.
Anche per Emo, come per Leopardi, la realtà differisce infinitamente da se
stessa, nel senso che non fa che negarsi, ma negandosi si porta su un altro pia-
no, piano d’irrealtà o di nullità, che però è più che reale, in quanto costituisce
il paradigma e il principio della realtà stessa. L’essere, dice Emo, differisce da
ogni ente, e perciò è non-ente, è niente: anzi, è il “non” dell’ente, è il nulla. Ma
che cosa significa identificare l’essere con il nulla, se non afferrare l’origine e
nell’origine cogliere il mostrarsi dell’essere in quanto essere e non in quanto
questa o quella cosa, questo o quell’ente? «La vita» scrive Emo «è il più lumi-
noso e tragico dei misteri, ma anche della nostra luminosità si può chiedere se
non è l’altro, l’assoluto altro da noi.» Per Leopardi la vita è un “arcano”: perché
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appaia tale, è necessario che essa torni al nulla e il nulla l’accolga come cosa sua
e suo riflesso. La poesia è lo splendore del nulla.
Con ciò Folin, fra gli interpreti leopardiani che hanno saputo riconoscere e
tener fermo il nesso

in reference to: Imp. Sott'altra luce.indd (view on Google Sidewiki)

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